L’abbraccio della comunità. Don Adolfo: Dio vi ricompensi, ora camminate con don Giuseppe

Dopo l’incontro con gli amministratori, la solenne concelebrazione eucaristica presieduta da don Adolfo. Un commovente momento di preghiera nel quale la comunità, con la presenza e con la partecipazione alla liturgia ha voluto esprimere al parroco di una vita sentimenti di affetto e di ringraziamento.

Al termine di un’affollata eucaristia così si è espresso don Adolfo

 

“L’anima mia magnifica il Signore…
…grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente

Questa sera, carissimi, elevo con voi il Cantico della Vergine, consapevole dei doni ricevuti e riconoscente a Dio, alla Chiesa, a ciascuno, perché, come afferma la Madonna, “grandi cose Dio ha fatto in me” e, se mi è consentito, aggiungere pure “con voi e in voi”.

Già diciotto giorni dopo la nascita, il 30 giugno 1949, presso il fonte battesimale del Cappellone di questa Chiesa Madre, don Carmelo Martino mi battezzava rendendomi figlio di Dio, membro della Chiesa, appartenente alla nostra Comunità ecclesiale.

Ho avuto il dono di crescere in una famiglia molto unita e solida nei principi, con un papà che aveva sperimentato la durezza della vita avendo perduto, a dodici anni, in un mese e mezzo, la mamma e una sorella, era stato operaio quattordicenne e poi prigioniero per quattro anni in Germania; ho avuto il sostegno di una madre che mi ha sempre accompagnato in tutti questi anni di sacerdozio con convinta religiosità, sapiente discrezione e il cuore generoso di ogni mamma.

Ho vissuto così la grazia di crescere in una famiglia segnata da antica tradizione religiosa: basti ricordare l’arciprete don Ottavio Putignano, attestato almeno dal 1625 e deceduto il 39 dicembre 1639, don Giovanni Antonio Putignano, documentato nel 1625 come beneficiario dell’altare della Risurrezione in Chiesa Madre, altri parenti presbiteri, una zia e due cugine suore, oltre a Pietro Putignano, che costruì l’altare dell’Immacolata e donò la statua argentea di S. Antonio.

Giunto ai quarantasei anni di sacerdozio, che compirò domenica prossima, desidero soprattutto ringraziare il Signore, perché mi ha sostenuto nel restare “fedele alla grazia ricevuta”, con una scelta rinnovata quotidianamente, perché, come sosteneva Giovanni Paolo II, il dono di Dio “non annulla la libertà dell’uomo, ma la suscita, la sviluppa e la esige”.

E perché sono fermamente convinto di quanto afferma Papa Francesco sul ruolo del prete nella comunità: avere “uno sguardo amabile, quello di cui ha bisogno la gente, praticare la pastorale dell’orecchio guardando la realtà senza avere paura, discernendo i segni dei tempi e le cose che vengono dallo Spirito”.

 

L’anima mia magnifica il Signore

…la sua misericordia si stende su quelli che lo temono

Vi confido, con la cordialità di sempre, più volte mi sono chiesto: perché il Signore ha chiamato proprio me?

La risposta si trova nel testo evangelico: “Chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono con lui”.

La chiamata vocazionale è iniziata nell’Oratorio, dove, bambino, cominciai a fare il chierichetto, oltre ad essere iscritto per due mesi alla Scuola materna e poi a quella elementare proprio nell’anno dell’apertura, 1954; lì festeggiai l’Ordinazione sacerdotale e lì presentai i due volumi di Storia delle vicende feudali e comunali di Monteroni, frutto di venti anni di ricerca e studi.

In tanto tempo di vita pastorale nella nostra città, abbiamo vissuto insieme una serie lunghissima di esperienze. Certamente molto impegnative, spesso senza porre limite al tempo, con la chiesa e i locali aperti sino a notte fonda, d’estate e d’inverno.

Abbiamo realizzato un’attività ricca di tantissime soddisfazioni, che ben conosciamo per i grandi sacrifici che abbiamo compiuto tutti come comunità con tanto volontariato, convinzione, generosità, in alcuni casi proprio assolutamente straordinaria. E soprattutto suscitando entusiasmo, nuovi interessi e gioia nell’intera comunità e nella città.

Con sincera e profonda riconoscenza e senza fare elenchi di realizzazioni, ci siamo lanciati insieme in progettazioni di annuncio e formazione cristiana in chiesa, nelle famiglie e sul territorio, in molteplici esperienze di preghiera, di animazione d’ambiente, di situazioni di carità, d’interesse culturale e presenza sociale.

Dio vi ricompensi.

Come si può dimenticare quanto ci scrisse con entusiasmo e calorosa soddisfazione mons. D’Ambrosio, al termine della sua visita pastorale durata incessantemente quindici giorni?

Non lo dico perché questo è un particolare momento ricco emozioni. Ma perché Monteroni è davvero bella. Per quanto la nostra gente sa essere e operare quando si impegna con sollecitudine e diligenza. E soprattutto per il cuore grande, generosissimo, testimoniato dalle cospicue donazioni, mai chieste, sempre elargite con magnanimità per bene comune.

Da parte mia, evitando forme di esibizionismo tanto diffuse oggi, mi sono ancorato alla specifica spiritualità sacerdotale, avendo come saldi riferimenti la comunione e la condivisione nella Chiesa diocesana.

Ed ho creduto fermamente nella valorizzazione del laicato, poiché, sviluppando la consapevolezza della vocazione e della missione di ogni battezzato, si apprezza lo stesso servizio del sacerdote. E comprendo l’espressione biblica: “mi ha consacrato con l’unzione e mi ha inviato…”.

Ecco, allora, l’altro riferimento di papa Giovanni Paolo II: “I presbiteri sono nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo, Capo e pastore… per l’annuncio del vangelo al mondo e per l’edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo e Pastore”.

Per l’annuncio del messaggio cristiano mi sono dedicato, allora, con assiduità e notevole impegno all’attività giornalistica: proprio quest’anno compio cinquanta anni dalla pubblicazione del mio primo articolo sul Miles Christi (aprile 1968), seguita dagli altri su Avvenire (cinque anni), su l’Ora del Salento (della quale sono stato direttore dal 1980, su mandato di tre vescovi), su L’Osservatore Romano e da sei mesi su La Gazzetta del Mezzogiorno.

Oltre ad essere stato per ventiquattro anni direttore dell’Ufficio diocesano delle comunicazioni sociali, organizzando ogni anno la festa dei giornalisti, la giornata diocesana di Avvenire, la giornata del Giubileo per gli operatori massmediali, attività formative nelle parrocchie e nella Scuola di base diocesana…

In particolare, ho avuto l’onore di servire la mia città, la nostra cara Monteroni, avvertendone ogni giorno l’onere di costruire fiducia e speranza, per un futuro migliore della gente, a cominciare dai nostri figli, bambini, ragazzi e giovani, che hanno il diritto di un futuro più positivo.

Ecco, perché mi sono speso senza riserve e, pur con tanti limiti, carenze, errori personali, non mi sono risparmiato, lavorando di giorno e tante ore della notte. Con convinta applicazione a servire, con entusiasmo, con fiducia nelle possibilità di una città degna del suo glorioso passato.

Come non dire, allora, grazie a tanti e tanti cittadini che nel profondo del cuore amano intensamente la Chiesa e la comunità civica?

Certo, la nostra città registra pure serie problematiche e diverse negatività comportamentali di giovani e famiglie, forme gravi di devianza: ma ciò sollecita ciascuno di noi a impegnarci ancora di più.

Da sempre Monteroni è città, non solo per un titolo conferitole ufficialmente dallo Stato una ventina di anni or sono, ma per antica attenzione ai valori della persona e vera sensibilità umana, in ambito sociale, culturale e religioso.

Basti ricordare, ad esempio, che agli inizi del Novecento la popolazione, guidata da don Michele Mocavero riuscì a realizzare l’Asilo S. Giuseppe, rilevante centro assistenziale e culturale, e successivamente tante chiese, l’Oratorio, centri parrocchiali, sino all’attuale Museo di Palazzo Pino…

Basti rammentare la grande gara di solidarietà per l’arrivo dei primi profughi albanesi o i sublimi gesti di straordinaria generosità con l’erezione di altari, la donazione di suoli e centri per le attività parrocchiali…

 

L’anima mia magnifica il Signore

…la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

Voglio, allora, lodare con voi il Signore per le meraviglie che egli continua a operare nel nostro cuore e per mezzo di ciascuno.

E dire dal profondo dell’animo un grazie vivissimo a quanti si dedicano con disinteressato volontariato alla vita della comunità sostengono le varie esperienze di fraternità, cercano umilmente di dare una testimonianza personale credibile, come propone il nostro arcivescovo mons. Seccia.

Non si è trattato solo di realizzare una lunga e impegnativa serie di importanti restauri… davvero tanti: due fitte pagine di Vita Cristiana (quarantadue anni di pubblicazione, un contributo culturale davvero raro in Italia) non sono state sufficienti ad enumerali.

Si tratta di percorrere cammini di fede vissuti nella liturgia, catechesi, carità, molteplici attività nei gruppi e nelle associazioni, manifestazioni civili ed ecclesiali, solidarietà verso chiunque ha bisogno, organizzazione di feste ed eventi, manutenzione del decoro degli edifici e strutture ecclesiali e cittadine, incessante cura della nostra meravigliosa Chiesa madre, una delle più pregiate del Salento.

E, poi, forse soprattutto, c’è stata la proposta d’impegno per l’educazione e la formazione delle nuove generazioni a genitori, catechisti, docenti, educatori.

Penso, ancora ad esempio, alla trentina di campi scuola organizzati in questi anni per i giovani (saranno stati almeno 1500 i partecipanti, almeno una cinquantina per anno), ai grest estivi con centinaia di ragazzi, ai ritiri formativi, alle giornate di spiritualità.

Perché insieme abbiamo puntato sulla forza del messaggio cristiano, insieme abbiamo cercato di incontrare Gesù, insieme abbiamo fatto la scommessa sulla validità e bellezza della vita cristiana: con un forte atto di fede e con fiducia nello Spirito Santo.

Ora è il momento di concludere quarantasei anni di mia appassionata attività pastorale a Monteroni.

L’ho chiesto tre volte a mons. Seccia e una per iscritto. Come avevo già fatto scrivendo dopo il Sinodo dando la mia disponibilità al vescovo. Come avevo già chiesto a mons. Ruppi e a mons. Filograna, al quale mi recai appositamente nello studio della sua Parrocchia leccese. Come negli ultimi due anni avevo domandato a mons. D’Ambrosio e al vicario generale mons. Pierino Liquori.

L’incertezza della salute m’impone un rallentamento del passo. La diocesi, alla quale sono riconoscente sia per il titolo, assolutamente non chiesto di cappellano d’onore del Papa, sia per avermi chiamato con determinazione a insegnare nell’Istituto di Scienze Religiose, oggi mi domanda di impegnarmi in prima persona in nuove, e speriamo avvincenti, attività culturali a Lecce.

È naturale vivere con dispiacere, con molto dispiacere, questo momento. In queste settimane, mi commuovete e mi intenerite nel profondo: ve ne ringrazio con tutto il cuore. Rimango davvero meravigliato per la stima e l’affetto, intensissimo, che ci unisce.

Ora è importante continuare il cammino con don Giuseppe, che ho accompagnato nell’ultimo anno prima del sacerdozio e al quale auguro ogni bene.

Io, certamente, rimango monteronese. Voi siete la mia città, la mia comunità, la mia famiglia, la mia amata, amatissima Monteroni. Il nostro amore continuerà. Per sempre.

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