Mons. Semeraro con Papa Francesco sulla tomba di Paolo VI, il papa dell'amicizia

A 39 anni dalla morte di Paolo VI (6 agosto 1978), il monteronese mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio di cardinali, ha presieduto in mattinata la messa nelle Grotte Vaticane, accanto alla tomba del Pontefice.

La messa è stata presieduta da Semeraro perché Paolo VI è morto a Castel Gandolfo (nella diocesi di Albano). Prima della beatificazione di Montini, la celebrazione - sempre presieduta da Semeraro - si svolgeva nella parrocchia di Castel Gandolfo. Ora che c’è la memoria liturgica al 26 settembre, Semeraro - che del Magistero del Papa che ha proseguito e chiuso il Vaticano II (aperto da Giovanni XXIII) si può considerare uno dei maggiori esperti - continua a celebrare la messa ma presso la tomba, nelle Grotte Vaticane, con la partecipazione di persone che lo hanno conosciuto da vicino.

Al termine dell'Eucarestia, anche Papa Francesco è sceso sotto la Basilica di San Pietro e accompagnato (nella foto) da don Marcello ha sostato nella cappella che accoglie la tomba del Pontefice Beato per un momento di raccoglimento e di preghiera.

“A noi questa festa (della Trasfigurazione ndr) è cara - ha detto don Marcello nell'omelia - anche perché ci ricorda il transito al Cielo del beato Paolo VI, il cui corpo, che poi onoreremo, è deposto in queste Grotte. In una sua biografia egli è definito 'il Papa della luce'. Il suo permanente anelito alla luce rimane definitivamente scolpito in quel mirabile 'pensiero alla morte' che, quando l’apprendemmo dopo che fu letto nella congregazione generale dei cardinali il 10 agosto 1978, lasciò attoniti e commossi. Prima di allora, io mai avevo udito una testimonianza così alta e profonda, spirituale e carnale insieme ed è cosa che ancora oggi, dopo quasi quarant’anni, mi emoziona. 'Camminate finché avete luce – scrisse citando Gv 12, 35 -. Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce'”.

“Rassomigliano, queste parole, - ha proseguito il vescovo di Albano - all’esclamazione rivolta da Pietro a Gesù trasfigurato: 'Signore, è bello per noi essere qui!'. Vi riconosciamo il desiderio e l’accoglienza dell’amicizia con il Signore. E Paolo VI ebbe alto il culto dell’amicizia. A leggere i suoi tanti interventi si nota subito come egli unisca abitualmente l’amicizia alla comunione. L’amicizia con Dio, certo e anzitutto, ch’egli intendeva e spiegava alla luce del Suscipe ignaziano; ma pure l’amicizia umana, che non disdegnava illustrare richiamando il de amicitia di Cicerone. Quest’amicizia, anzi, sulla scia della 1Gv Paolo VI la riteneva 'esercizio graduale, propedeutico all’amore di Dio'”.
“Quando commenta la scena evangelica del Tabor – ha concluso il Presule monteronese - (questo non è mai attestato nei discorsi milanesi, ma nel pontificato romano lo è due volte, in omelie quaresimali), Paolo VI se l’immagina avvenuta nel buio della notte sicché 'i tre dormienti sono destati da un abbagliante guizzo di luce' e i loro occhi 'si aprono perché si è accesa una grande luce'. Non è solo una luce avvolgente, ma anche una luce parlante, sicché la visione si trasforma presto in audizione. Una voce, infatti, quella del Padre, che mentre sottolinea l’identità divina di Gesù ribadisce la necessità di ascoltarlo. C’è la Legge con Mosè e c’è la profezia con Elia, commenterà sant’Agostino, ma chi è necessario ascoltare è Gesù perché in lui ci sono la voce della Legge e la lingua dei Profeti.

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