Il messaggio di mons. Marcello Semeraro: sia questa la Pasqua dell’incontro

Anche quest’anno, la riflessione per la Pasqua, unita agli auguri di gioia per il giorno di festa, per i lettori di TgMonteroni, giungono dalle parole del concittadino Marcello Semeraro, vescovo di Albano. Proponiamo un ampio stralcio dell’omelia da lui pronunciata la notte scorsa, nella Cattedrale di Albano, durante la Veglia pasquale.

“[…] Dal racconto del Vangelo v’invito a raccogliere almeno due verbi, che possono aiutarci a vivere questa Santa Pasqua. Sono il verbo guardare e il verbo andare. L’uno e l’altro sono rivolti alle donne: le ultime rimaste presso la Croce del Signore, ma ora le prime davanti alla tomba vuota. Per loro, dunque,si realizza la parola del Signore: «molti degli ultimi saranno primi» (Mt 19,30). Insieme con la Madre di Gesù erano state le ultime presso la Croce: avevano sopportato lo scandalo e non erano fuggite via, come invece gli apostoli; per questo adesso sono le prime a vedere fugate le loro paure e a gioire nel vedere il Signore.

Il primo verbo: guardare, è sulle labbra dell’angelo, che dice alle donne: «guardate il luogo dove era stato sepolto». Occorre guardare, vedere, toccare: la realtà, la storia. Il cristiano deve sempre avere gli occhi e le orecchie aperti. La storia della Chiesa ha avuto inizio così: «quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita» (1Gv 1, 1).

La fede ci non esonera dall’osservare le cose e dal considerare gli eventi. Non è, anzi, un buon cristiano uno che sfugge la realtà e fugge dal mondo. Quando, però, siamo davanti ai fatti, allora è la fede che ci fa andare sino in fondo e ci aiuta a «comprendere». Accadde così ai Magi, che non trascurarono di guardare un infante e riconobbero il Signore; accadde così al ladrone, che vide uno come lui crocifisso e riconobbe il Salvatore; accadde così al centurione, che vide morire un condannato e riconobbe in lui il Figlio di Dio (cfr San Bernardo, Sermo II in Epiph., 4). Questo perché la fede è sempre «con gli occhi aperti»: oculata fides.

C’è poi un secondo verbo: andare, e questa volta è sulle labbra di Gesù risorto, che dice alle donne: «andate ad annunciare». In questo «andare» c’è il primo movimento della Chiesa e del cristiano. È il comando di Gesù: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Si va per annunciare: «è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda» (Paolo VI; Evangelii nuntiandi, n. 14). Limitarsi a guardare, osservare, sentire… è pericoloso: si rischia di rimanere ammaliati dalle cose, di trovarsi irretiti nei fatti. Occorre, invece, alzare gli occhi ed è allora che si vedono persone con cui comunicare, stabilire contatti, vivere incontri. Tutto potremmo indicarlo con un’espressione cara a Papa Francesco: cultura dell’incontro.

Viviamo, allora, il nostro essere cristiani come incontro. È l’augurio pasquale! Siano incontro la nostra preghiera, incontro l’ascolto della sua parola, incontro la vita sacramentale… Partecipiamo alla Messa domenicale? È incontro col Signore. Riceviamo la santa Eucaristia? È incontro col Signore. Confessiamo i nostri peccati? È incontro col Signore. Incontro siano lo stare fra di noi, il lavorare insieme, il gioire insieme, il soffrire insieme... Non scontro, o indifferenza, ma incontro.

Incontrare vuol dire accogliere, ascoltare, accompagnare, dialogare, aiutare… Ecco come tutti possiamo fare Pasqua: noi, «vecchi» cristiani, perché battezzati all’inizio della nostra esistenza terrena; voi, «nuovi» battezzati, i germogli dell’ulivo intorno alla mensa del Signore, di cui si canta in un Salmo (127, 3).

Nel Vangelo proclamato questa notte c’è anche un’altra parola, che noi vogliamo raccogliere per portarla quale ricordo di questa notte santa: «Gesù andò incontro a loro e disse: Gioite»!

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