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Verso la festa: perché Antonio è il santo patrono di Monteroni?

L’affidamento al Patrono cittadino è realtà comunitaria da diversi secoli. E più di tutti il patrocinio antoniano ha un fascino che si perde nei meandri della storia. Basti pensare che ben 14 comuni salentini lo hanno scelto come indiscusso patrono.

Per quanto concerne “la comunità di Monteroni, essa riuscì ad adottare in via ufficiale il patronato antoniano verso la fine del XVII sec., una scelta che porterà a sostituire il vecchio protettore S. Giorgio. Non si conoscono i motivi di questo avvicendamento. Probabilmente determinato dalla forte presenza francescana nei territori limitrofi e nella stessa Monteroni. L’ipotesi più attendibile è legata alla crescente diffusione del culto in seguito all’erezione di una cappella dedicata al santo”. (in “Francescanesimo e adozione dei santi patroni nel Salento”, in H. Houben, D. Levante, M. Spedicato, a cura di, Sàpere aude, Ed. Grifo 2010). Infatti, la famiglia Verardi, il 23 ottobre 1615, ottenne dal vescovo di Lecce, mons. Spina l’autorizzazione per la fondazione di un legato presso un altare, ancora privo dell’immagine del santo taumaturgo d’origine portoghese. Nel 1658 l’altare dedicato al santo te le tritici grazie, per esigenze di culto, venne traslato nel transetto destro della chiesa a cura e spese dell’Università di Monteroni, a questo periodo risale la realizzazione della statua lapidea policroma d’eccezionale valore artistico, raffigurante il taumaturgo patavino, che conserva ancora oggi, sotto l’attuale pellicola pittorica, una lamina in foglia oro che in alcuni punti è decorata a tempera. Pertanto, già dai primi decenni del ‘600 è possibile documentare che il Santo di Padova godeva presso la popolazione locale di un largo consenso per le sue note qualità taumaturgiche. Viene soprattutto costantemente invocato per proteggere i raccolti, minacciati dalle frequenti calamità naturali. (cfr. G. Mancarella, “Depliant Comitato Festa S. Antonio”, Agosto 2005).
La festa liturgica del 13 giugno, allora, divenne l’appuntamento più atteso dai contadini, i quali, negli anni in cui la concomitante mietitura del grano impediva una loro diretta partecipazione all’evento religioso, costrinsero le autorità ecclesiastiche locali a fissare una seconda data (poi istituzionalizzata nella prima domenica di agosto) per celebrare con le dovute solennità il santo dei miracoli. Tuttavia, solo nel 1699 comunque arriva l’approvazione canonica ufficiale del riconoscimento patronale.
Alla devozione del Magnifico Pietro Putignano, infine, si deve la realizzazione della statua argentea del taumaturgo padovano, un’opera d’arte di pregevole valore artistico che fu commissionata in Napoli, tramite Francesco Carlino, al maestro argentiere napoletano Saverio Manzone. Dall’apprezzo della statua, allegato all’atto notarile di deposito nella chiesa e di consegna alla comunità monteronese, rogato dal notaio Francesco Imbriani di Monteroni il 28 maggio 1778, veniamo a conoscenza che la statua è stimata in Napoli dai consoli dell’arte Giuseppe Del Giudice e Nicola Alvino, maestri orafi d’indiscussa fama, autori di pregevoli manufatti conservati nella cappella del tesoro di S. Gennaro in Napoli. La statua, alta palmi sei e del peso di 95 libre e 3 once, è pagata dal Putignano 2419 ducati e 40 grana, ed è consegnata al sindaco Giuseppe Grego, alla presenza di tre testimoni, tutti licterati viri, Salvatore Putignano, Antonio Quarta, il Magnifico Francesco Verardi ed il giudice a contratti Pietro Maria Spedicato (cfr. A.S.L., Fondo Atti Notarili, notaio Francesco Imbriani di Monteroni, Depositum Statuae Argenteae Divi Antonij Patavini Protectorij Terrae Monteroni, 28 maggio 1778). Nell’atto si legge ancora che il Putignano realizza la statua “per mera sua divozione avuta verso la protezione del glorioso S. Antonio da Padova Protettore Universale di questa Terra, a suo particolare Avvocato”, affinché il santo ricevesse maggiore culto e venerazione. (cfr. G. Mancarella, “Depliant Comitato Festa S. Antonio”, Agosto 2005). Da allora il santo resta un punto fermo nel panorama devozionale locale tanto da divenire emblema civico per antonomasia, quale universale rappresentante dell’identità più profonda del paese.